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I credenti diranno che l’infinito numero di santini che ricoprivano il pavimento ha salvato questo piccolo tesoro dalla pioggia che cade abbondante nella stanza, e dal vento, che entra da ogni dove…
Ricco di superlative immagini di incantevoli paesaggi “di quella parte dell’antica provincia di Terra di Lavoro che da Caiazzo arrivava fino alle falde del Matese”.
Brani di scrittura descrittivi dei vari siti storico-archeologici, disegni e schizzi per illustrare in maniera più corretta, e ricca di numerosi particolari, le diverse caratteristiche dei monumenti alifani.
Guida realizzata nell’ambito del progetto denominato “Festival delle stagioni francigene nell’Alta Terra di Lavoro” a cura del Comune di Roccaromana (CE). Terra di Lavoro, storica regione della Campania Felix, compresa tra le vette del Matese, del Roccamonfina e del Monte Maggiore è lo scopo di queste pagine, che mirano a ridare consapevolezza e identità culturale ai Territori e a richiamare fruitori di turismo culturale lento, informato e sostenibile.
Il testo parte dall’analisi della politica agraria di un ben determinato periodo storico, quello del Ventennio fascista ed offre, in realtà, uno spaccato della vita politica locale relativa ad un periodo più ampio e spunti di discussione sulle drammatiche conseguenze degli eventi bellici e su tematiche straordinariamente attuali quali la disomogenea distribuzione del reddito e delle risorse alimentari.
Quando don Donatello Camilli, parroco di Pietraroja e socio dell’ASVT, propose, per l’Annuario 2019 dell’associazione, un breve saggio, scritto a quattro mani con Vito Antonio Maturo, sul settecentesco Catechismo di Gianfrancesco Pacelli di cui un suo generoso parrocchiano gli aveva donato una rarissima copia, fu spontaneo ed immediato il desiderio di ripubblicarlo integralmente facendone una ristampa anastatica che mantenesse intatto il fascino degli antichi caratteri, della filigrana della carta, della dedica autografa e che trasmettesse quasi, alla nuova pubblicazione, l’odore delle vecchie pagine.
Il lunedì, quello dopo. La Filanda, le foglie, la fontana, quella brutta, no, quella tonda, Caruso, anzi no, i genitori di Caruso, la Villa, la chiesa chiusa, le valli, il vento, il rintocco della campana, il Torano, l’acqua, tanta acqua. San Giovanni, il Cila, il chiostro, l’odore del caffè, le paste alla domenica, le lance e i Sanniti, la fiera, gli animali, no quelli non ci sono, c’è chi corre, no non corre, il Corridore è fermo. La stazione e le Carmelitane. I taralli, San Biagio, le campane. Quante campane. Il Matese. Piedimonte. La sintesi.
Per scegliere di visitare le Azzorre bisogna essere persone veramente speciali; per amarle bisogna essere in piena sintonia con i ritmi della natura: percepire tutti i suoi aspetti più selvaggi e imprevedibili e assecondarli, accordare il proprio respiro con il ritmo dell’oceano, calibrare i propri passi sullo splendore delle nere rocce vulcaniche, ubbidire alla meraviglia dell’alternarsi delle stagioni nell’arco di un sol giorno, cedere al coinvolgimento schivo eppur gentile dei natii e delle loro celebrazioni rituali, spalancare gli occhi e le orecchie alle danze antiche, alle musiche accompagnate dalle grida stridule dei “cacharros”.
Nel 1745 in un portone di una casa di Avella, antichissima città sannitica sita ai piedi della barriera montuosa che separa la Pianura Campana dalla Valle Caudina, fu notato un grande cippo di calcare reimpiegato come soglia. Mostrava una fitta iscrizione in lettere osche. Grazie all’iniziativa di dotti sacerdoti, fu recuperato e trovò provvido riparo nel Seminario Vescovile di Nola, dove tuttora è conservato.
Non è stato per niente semplice fare finta che tutto andasse bene, non esternare mai liberamente le nostre emozioni, eppure lo abbiamo dovuto fare. Lo sforzo è stato immane, abbiamo lasciato che tutto andasse a rotoli, tranne la tua serenità. E quando tu sei volato via, siamo rimasti come dei sacchi vuoti, inermi, senza voglia né volontà. Annientati e straziati dal dolore, col grande vuoto della tua assenza. L’unica certezza: Dio e il Suo amore smisurato. Dio che non ci lascia mai soli, Dio che ha promesso ai Suoi figli la vita eterna. E noi sappiamo che tu sei parte dell’eternità.
Popoli e culture dell’Italia Antica intorno al IV secolo a.C. L’estrema diversificazione regionale, al contrario, ad esempio, della omogeneità linguistica, culturale e religiosa della Grecia. Quasi tre millenni fa era in atto quindi quell’aspetto della penisola destinato a pesare nella sua storia futura nel bene e nel male.
Esattamente settanta anni fa, nel 1950, veniva pubblicata la Vita di San Leucio dell’arciprete di San Salvatore don Bruno Gagliardi, a spese dell’autore e con il contributo dei Sansalvatoresi residenti negli Stati Uniti che, per favorirne la stampa, ne acquistarono-prenotarono un elevato numero di copie, una sorta di print on demand ante litteram1. Quest’opera è sicuramente la biografia di un santo il cui culto è diffuso in numerose città del Meridione e risale ai primi secoli della Chiesa, ma non si risolve nella consueta agiografia cristiana, a tutti gli effetti è un testo di storia, un affresco delle vicende avvenute nella Valle Telesina in oltre duemila anni, dagli Oschi alla prima metà del XX secolo.
Guardavo, con interesse, in territorio di Sepicciano, una costruzione singolare, quando, studente di scuola media, di ginnasio e di liceo, percorrevo, a piedi, il tragitto da San Potito a Piedimonte e ritorno. Quelle mura, distanti un sessanta metri dalla strada provinciale, isolate nella campagna, alte, robuste, rustiche, di un grigio scuro e silenziose, con un buio ingresso che pareva senza fine e con finestre somiglianti a orbite vuote, con un grazioso campanile a vela e, al culmo, una croce di ferro, risultavano, nell’insieme, dotate di un’attrattiva magica.
Un viaggio ideale ed immaginario nel piccolo-grande mondo di Gioia che, prendendo il via dalla storia del nostro paese, compiutamente riportata, rievoca le nostre gloriose origini di indomabili Sanniti, la centralità strategica e religiosa del nostro territorio, testimoniata dalla presenza del maestoso Castello Medioevale e dalla splendida Grotta di San Michele a Curti, ma anche del “brigantaggio”, fenomeno di storico orgoglio, indubbiamente ispirato dall’amore per la terra natìa, lo stesso amore che hanno provato i Gioiesi, costretti nel tempo a lasciare la nostra Gioia per trovare un lavoro, ma soprattutto per ritagliarsi un futuro migliore, in terre lontane.
C’è l’ansia dell’attesa e la frenesia dell’attimo da cogliere che sembra uscire da un film di Bernardo Bertolucci. C’è il timore innamorato che pietrifica lo sguardo come fa la Medusa della lezione americana di Italo Calvino. C’è il desiderio in gonna pantaloni bianco che scolpisce i contorni dell’idealdonna che mai più si riuscirà a cancellare. C’è il sapore e l’odore dei luoghi, la polvere delle strade di Carano che ammanta la corriera delle vacanze e quell’oleografia della Madonna alla parete nella casa dei nonni che diventa la madeleine delle ore perdute. C’è la luce che si apre verso il mare di Formia e Gaeta e l’estate che torna con tutti i colori.
La lunga stagione del Novecento si è esaurita trascinando con sé, tra ascese inebrianti e precipitose cadute, i miseri avanzi delle sue utopie. Azzerando, di conseguenza, ogni possibile sospetto di omologazione e di appiattimento della coscienza creativa che, suffragata da un massimalismo ideologico di dubbia vocazione democratica (per aver imposto, a destra a manca, le ragioni dei più a scapito delle istanze della creatività individuale), rendeva difficile o addirittura negava alla radice la sacrosanta ricerca della propria identità.
Dovrei sempre fermarmi ad ascoltare una musica e invece sono qui che me l’invento; quando una gioia mi fa sussultare sento musica intorno a me, poi finisce la carica di positività e la musica s’affievolisce, i sensi si rilassano come addormentati, poiché sono stati sottoposti ad una stupenda emozione, qualcosa viene a mancare, un vuoto si fa avanti ed entra in scena il silenzio piatto della pausa.
L’Archeoclub d’Italia sede di Alife avvertiva fortemente il desiderio di rivivere e di far rivivere in più forme alle suore della Casa delle Suore degli Angeli e agli altri componenti della società locale, ricorrendo proprio in quell’anno il centenario della loro presenza in Alife, la memoria delle origini, non solo come ricordo del passato ma anche come profezia per l’avvenire e come grazia nel tempo presente
Quando accenniamo al lungo percorso che ha stravolto le nostre lingue precedenti in realtà parliamo di storia, di identità che si sono trasformate in nuove identità destinate esse stesse a mutare. La lingua, le varie lingue che noi chiamiamo dialetti, sono vive finché cambiano e cambiano portando con sé influenze di nuovi ceti sociali e generazioni. Perché il cambiamento abbia un senso occorre che sia possibile sempre stabilire rispetto a cosa si cambi, altrimenti, se tutto viene dimenticato, ogni cosa sembrerà non avere radici, sembrerà inedita.
Mi è parso utile continuare, tramite questo nuovo progetto, l’esperienza maturata negli scorsi anni di associare immagini fotografiche, riprese durante uno dei tanti percorsi culturali, a files di testo recuperati nell’archivio digitale familiare nell’intento di valorizzarne il contenuto e di renderli fruibili agli studiosi impegnati in ricerche di storia locale.
Teneri, vibranti, malinconici, semplici, questi versi arrivano subito al cuore. Impreziositi da immagini leggiadre e aggettivi preziosi, rivelano un rapporto delicato ma intenso con la Natura, quella ancora incontaminata e meravigliosa. insieme, a volte, ad un drammatico grido d’allarme per i continui affronti della sconsideratezza umana nei suoi confronti. Leggere ognuna di queste liriche è assaporare un sorso genuino di sensazioni ed emozioni, un’oasi limpida di riflessioni, insieme ad una ricerca umile e costante di Assoluto.
Questo carnet fotografico contribuirà senza ombra di dubbio a valorizzare la nostra terra, oggi più di ieri. Dopo questo periodo difficile avremo bisogno di una rinascita collettiva che rianimi i borghi, ripopoli i quartieri, nutra la sete di conoscenza dei giovani, apra il territorio a una nuova progettualità. Ora più che mai dobbiamo essere resilienti, tenaci e soprattutto lungimiranti. Ogni qual volta dovevo uscire dal fondo di una grotta potevo contare solo sulle mie forze e sull’esile fiammella del mio casco, ma avevo un solo obiettivo: rivedere la luce del sole o delle stelle, e sentire il profumo della terra. Bisogna toccare il fondo per rinascere.
Il fatto stesso di far rientrare tutto nello spazio di 5 versi mi appariva quasi come una “costrizione”, per non parlare della ricerca obbligata di rime. D’altra parte lo stesso Leopardi, pur restando legato al sistema endecasillabico, non ha posto in rima i celebri versi del suo “Infinito”. Fatto davvero insolito ed isolato, nella grande produzione poetica dell’Ottocento. Evidentemente anche per lui, pur con la grandissima cultura di cui disponeva, il ricorso alle rime tradizionali comportava la ricerca forse un pò “forzata” di termini non sempre corrispondenti appieno alla sua creatività spontanea.
Una lettura che va al di là del dato tecnico e si concentra su un possibile racconto, anche non voluto, che si nasconde tra le pieghe dei corpi delle donne, delle vesti indossate, anche tra le pieghe della nudità esibita, su certi atteggiamenti dolenti, sulla espressione di certi volti…
A wonderful, shared sea, a very rich marine and coastal environment, however threatened by overfishing, mass tourism, marine pollution, maritime traffic and anthropogenic pressure on the two coastlines. This photographic carnet is the result of a personal research. I tried to observe the complex relationships between man and the sea. A very ancient relationship that can be found in the landscape and its changes, in the faces of the inhabitants, in the architecture and objects of these two fascinating territories. Through photography I investigated places and their memory, ports, cultivated fields by the sea, pastures, cities and villages. I sought the work of women and men, their little and great stories of commitment and obstinacy. A bond born thanks to this sea. The same sea, lo stesso mare, i njëjti det.
Gli animali ci sorprendono spesso, nel bene e nel male. Nonostante certi pregiudizi e riserve dovute alle critiche di antropomorfismo, da tante osservazioni risulta che essi provano gioia, dolore, gelosia, rabbia, imbarazzo, in forme più o meno evidenti. Soprattutto tante specie di uccelli e mammiferi dimostrano aspetti sorprendenti di azioni e sfaccettature che ci appartengono, e che pensavamo solo umane. Cani e gatti (e non solo!) si affezionano spesso a noi in modo perenne, e sanno capirci più di quanto forse sappiamo fare noi con loro.
Protagonista del libro è il Cammino. un Cammino lungo le «antiche strade» delle transumanze, ma anche lungo la storia che più e più volte, con vicende ora liete ora tragiche, ha ricalcato i millenari percorsi; all’onda delle sue reminiscenze è bello abbandonarsi, mentre ci accompagna il cadenzato ritmo dei passi, mentre ci soffermiamo ad osservare con rispetto le tracce lasciate dagli uomini, sia quelle umili sia quelle grandiose, e mentre la bellezza della natura, in cui sono immersi i luoghi attraversati, ci fa errare «per lo gran mar de l’essere» dantesco.
E’ attraverso il disegno che ho potuto vedere più da vicino, ma soprattutto ricordare, i momenti vissuti della mia vita, il legame con la storia, e i segni lasciati dal tempo trascorso. Ho sempre conservato con molta cura tutto quanto ho realizzato su carta o su altri materiali adatti per il disegno. Non ho mai voluto fare una ricerca o dare un taglio a queste creazioni grafiche “belle” o meno belle, le ho sempre considerate come momenti preziosi della mia vita, specchi del mio stato d’animo, triste, a volte nervoso…
Poche o molte che siano le vittime hanno il diritto di essere rammentate e piante, e la storia ha il dovere di esecrare i massacratori e di riscattare la memoria degli oppressi. Non è possibile cambiare gli eventi storici, ma si può e si deve essere giusti nel narrarli e commentarli, rammentando sempre che gli ideali, il sangue, la vita, il valore, le sofferenze degli sconfitti, non valgono meno di quelli dei vincitori.
C’è tutto sulla cipolla. Il libro può senz’altro definirsi come uno dei trattati più completi sulla storia di questo particolare ortaggio e spazia dall’uso che ne facevano i Greci all’utilizzo medicamentoso dei Romani, suggerito tra l’altro da illustri autori quali Celso e Plinio. Sorprendente l’iscrizione sepolcrale del I sec. d.C., rinvenuta in località Pizzone, poco lontana dal Volturno, dove viene citata una Ceparia Archene. Ciò fa pensare che in Alife la coltivazione di questo ortaggio era già abbastanza diffusa in epoca romana.